venerdì 12 ottobre 2012

NUDO, PORNOGRAFIA E SACRALITA' DEL CORPO FEMMINILE

"Giornalista nuda contro la pornografia" è stato il titolo di una campagna contro l'uso pornografico del corpo femminile che ho lanciato sul web mettendomi personalmente in gioco con due post pubblicati su questo stesso blog nel novembre del 2009 , e che ho scoperto essere ancora attuale, con mio piacevole stupore.

Infatti, tra gli altri è stata ripresa da un blog per studenti del Corriere della Sera, sono stata contattata anche da una rete televisiva nazionale che sta lavorando su un'inchiesta sulle nuove frontiere del corpo femminile in rete e che nel mio profilo Fb ha riaperto un dibattito, per nulla superficiale, sull'argomento.

Rifletto, divertita, sul fatto che se il titolo di quella campagna fosse stato solo "giornalista contro la pornografia", a mio avviso, non avrebbe avuto particolare seguito.
La parola "nuda", e l'uso di una mia foto, ha stimolato un interesse
che ha superato di molto ogni mia previsione, stimolando centinaia di commenti da parte sia del mondo femminile che maschile.

Tutto questo è la prova di quanto il blocco dell'energia di alcuni aspetti della vita provochi spesso reazioni incontrollabili e di quanto tutto questo sia malsano.

Provate ad immaginare una campagna di questo genere lanciata nella foresta amazzonica, tra quei villaggi in cui donne e uomini vivono e lavorano quotidianamente a petto nudo e con i quali ho avuto la fortuna di interagire personalmente, in uno dei miei viaggi.
Sarebbe a dir poco ridicola e priva
di interesse per chiunque!

Invece, in una cultura patriarcale come quella italiana, già solo la parola "nudo" provoca una miriade di reazioni fisiche ed emozionali: dal voyeurista che prova piacere nello "sbirciare", al giudizio quasi "schifato" di chi si sente integro nel corpo e nell'anima (... secondo certe credenze religiose -non sto usando la parola credenze per caso!) e perciò evita ogni contatto -in parole o opere- con una certa realtà, al commento divertito di chi si sente libero da condizionamenti e osserva con occhi distaccati ciò che accade fuori, alla battuta ironica di chi si nasconde così dall'imbarazzo, alla "vergogna empatica" espressa da altre donne, a chi confessa che riesce a masturbarsi e provare piacere sessuale solo "online" perchè il contatto diretto con un altro essere umano fa troppa paura.

Insomma, credetemi, sulle reazioni che ha suscitato questa mia campagna potrei scrivere un breve trattato di sociologia e psicologia del comportamento umano (... e non è escluso che un giorno lo farò!).

Qui, perchè questo post rimanga gradevole alla lettura, chiudo con due domande con le quali chi mi legge potrà confrontarsi:

quali paure ataviche remano contro la tua vita sessuale consapevole e l'accettazione di te stesso/a come un corpo che veste una coscienza e che nasce nudo prima di cominciare ad essere vestito da abiti fisici e mentali, i secondi molto spesso ben più pesanti dei primi?

Secondo te, qual è il bisogno e il condizionamento individuale e sociale che rende pornografico un corpo in mostra, soprattutto se femminile?

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