venerdì 12 febbraio 2010

OMOSESSUALITA’ DA “CONVERTIRE”?

Negli ultimi tempi in Italia sta prendendo sempre più forza, soprattutto in ambienti di stampo religioso, e sulle orme anche di un certo mondo accademico statunitense, la tendenza a considerare l’omosessualità come una malattia da combattere (neanche “curare”), a prescindere dal vissuto dell’individuo che in prima persona sperimenta questa condizione esistenziale.

Dal punto di vista psicoterapeutico l’omosessualità diventa un disagio sul quale intervenire, quando non è accettata dalla persona che la vive, ovvero quando ci si trova di fronte ad una crisi di identità sessuale, tanto da decidere liberamente di chiedere aiuto.
Nel caso in cui, invece, l’individuo vive pienamente e sessualmente, cade la condizione di disagio per trasformare il quale si può decidere liberamente di farsi aiutare.

In sostanza, come accade per altri tipi di vissuti, l’aspetto rilevante è relativo a come ogni persona affronta la propria vita, i propri aspetti piacevoli ed i propri disagi.
Da questo punto di vista trovo assurdo che si assista ad un etichettamento sociale così forte in relazione all’omosessualità: “non sei socialmente accettato, quindi sei da curare, da cambiare". So di "non scoprire l'acqua calda" con questo pensiero, ma quando le nostre menti innescano il pilota automatico dimentichiamo in un baleno chi siamo, chi possiamo essere, chi siamo stati (l'omosessualità è iscritta nella storia dell'uomo) e anche tutte le battaglie fatte in tema di diritti civili, diritto alla salute mentale, etc. etc.

Personalmente e come psicoterapeuta mi capita di interagire col mondo omosessuale e sempre più lo considero arricchente.
A volte l’omosessualità maschile mi ha portato a riflettere su certe modalità prevalentemente femminili come la dolcezza, la sensibilità, la cura del corpo e della sua estetica, la cura dei particolari nelle relazioni e nelle azioni (attenzioni che comunque possono diventare maniacali se manca ad es. la fiducia in se stessi e nell'essere accettati), etc.
La controparte femminile spesso mi ha affascinato per saper giocare ad es. con la seduzione con intraprendenza, etc.

E' una manifestazione dell'intelligenza e dell'evoluzione umana la capacità di aprirsi alla varietà dei punti di vista ed avere la disponibilità di arricchire le proprie visioni del mondo e delle relazioni. Aprirsi ad altri punti di vista diversi
dai nostri non comporta automaticamente la loro accettazione, ma allena alla tolleranza ed al rispetto, stati d'animo che possono essere guidati solo dall'energia del cuore (... che non è dualistica).
Il mondo è veramente vario, e si dà il caso che l’essere umano ne faccia parte!

Non mi resta che sorridere, oltre a scriverci sopra, di fronte ai consigli di “terapeuti della psiche”, riportati da un quotidiano poco tempo fa, che propongono l’uso della preghiera per cambiare modalità di essere, in relazione all'omosessualità, o di colleghi statunitensi che, come antidoto all’omosessualità, propongono l’uso di “tecniche di educazione”, per far sperimentare approcci relazionali congruenti al proprio sesso biologico (ad es. insegnare all’uomo come sedurre una donna, ecc.).
Questo atteggiamento mi pare molto vicino alla tendenza di diverse religioni: convertire ad un ipotetico "ordine divino", perché ci sia la pace... dei sensi. Ciò che ci fa paura in realtà è l'espressione, più o meno consapevole, di ciò verso cui vorremmo tendere!

Ma se l’omosessuale non prova alcun disagio nell'essere così com'è, perché non lasciar vivere, quando non fa del male a nessuno? E’ meglio far finta di essere “normali”, quindi nascondersi (basta volgere lo sguardo verso tutte quelle categorie sociali, preti inclusi, che agiscono nel silenzio pur di non tradire i doveri che i ruoli impongono…), o bloccare le proprie tendenze, le proprie scelte deviandole o tappandole fin quando l’argine si aprirà in maniera prorompente e senza controllo? Un essere bloccato ha molte meno probabilità di evolversi verso la propria realizzazione, e probabilmente è proprio questo a spaventare tanti...

1 commento:

  1. Perfettamente d'accordo.
    Ho sempre considerato la discriminazione verso gli omosessuali una forma di razzismo: prima era un'opinione che avevo sul piano "teorico", ma da quando mi e' capitato di stringere amicizia con omosessuali non riesco a fare a meno di empatizzare con la loro causa e sentirmene coinvolto.

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