venerdì 12 marzo 2010

OMOFOBIA NON SOLO IN ITALIA

Qualche giorno fa il Ministro turco con delega agli affari femminili e alla famiglia ha dichiarato che l'omosessualità è una malattia, quindi va curata perché compromette i valori tradizionali legati al concetto di famiglia.

Questa affermazione non mi stupisce affatto ed è comunque allarmante!

Una volta una collega italiana, durante un confronto sulle nostre diverse modalità di intervento terapeutico, mi disse che il suo lavoro con ragazzi che si dichiaravano omosessuali era orientato verso la loro integrazione negli standard di "normalità", in modo da far rientrare la situazione di allarme che inevitabilmente vive la famiglia in quei casi...
No comment.

Sul concetto di normalità si possono scrivere fiumi di parole!

Provate a pensare un momento alle parole e alle emozioni che vi vengono in mente pensando a chi non è normale. Sono due i tipi di reazioni, in genere: da una parte probabilmente rifiuto, paura, distanza, intolleranza, violenza, giudizio, emarginazione; dall'altra parte probabilmente apertura, accoglienza, rispetto, intelligenza, curiosità per la diversità, indifferenza.

Mi chiedo cosa farebbe la ministra se improvvisamente scoprisse di avere un figlio omosessuale (visto tra l'altro che in Turchia questa tendenza pare sia sempre stata alquanto forte), spenderebbe denaro per farlo "curare" contro la volontà dell'interessato, smetterebbe di amarlo o addirittura lo rinnegherebbe come parte del suo sangue? E questo a quale concetto di famiglia risponderebbe?

E' allarmante la paura per la diversità. Molte persone sono talmente inquadrate in binari di condizionamenti ben precisi che qualunque cosa esca fuori da questi binari non è automaticamente riconosciuto, spaventa, quindi viene rifiutato.

Anche un bambino o un adulto con un handicap sono dei diversi, anche un essere umano con un altro colore di pelle è un diverso, anche la persona con altri valori, credenze, idee è un diverso.
Allora che facciamo, curiamo tutti?
Beh per noi psicoterapeuti ci sarebbe tanto lavoro assicurato, ma personalmente, a quel punto, preferirei cambiare professione!

E' POSSIBILE ABBATTERE IL MURO DI ISOLAMENTO DEL BAMBINO AUTISTICO



Vi segnalo un'iniziativa di cui mi occuperò. Nasce anche a Roma un Istituto che si occupa di aiutare chi soffre di questo problema, sostenere i familiari e formare i terapeuti, l'Istituto Gestalt Disability Therapy Onlus. Coordinerò personalmente le attività di questo Istituto per quanto riguarda Roma perché ritengo essenziale trasformare il clima di rassegnazione che troppo spesso avvolge chi si trova a vivere il problema dell'autismo. Per saperne di più guardate il video.
AIUTARE GLI ALTRI A STARE MEGLIO!... ANCHE QUESTA E' PASSIONE!

venerdì 5 marzo 2010

FESTA DELLA DONNA O DELLA CULTURA MASCHILE?


Si avvicina l'8 marzo e già da qualche giorno vedo manifesti lungo le strade che pubblicizzano feste per sole donne, serate all'insegna della "trasgressione" con ospiti maschili, proposte di cene con menù afrodisiaci, etc. etc.

Su questo giorno si è scritto di tutto.
Grazie allo sciopero dell'8 marzo del 1908 di alcune operaie americane è iniziato un enorme e fondamentale movimento di liberazione e di emancipazione della condizione femminile che si è espanso a macchia d'olio in molte aree del mondo.

Cosa resta oggi di quell'intento? e cosa è cambiato?
Lungi dal fare qui un'analisi sociologica, vado con la mente alle diverse popolazioni che ancora vivono (alcune sopravvivono) con un sistema sociale matriarcale. Hopi, Acoma, Zuni, Lakota sono alcune tra le popolazioni di nativi americani con cui ho avuto la fortuna di interagire direttamente fino ad ora.

Nel matriarcato non esistono ruoli di sottomissione, esistono solo suddivisioni di compiti perché la gestione della comunità sia armoniosa e basata sulla collaborazione. Donne e uomini nell'età della maturità detengono una loro saggezza che mettono a disposizione della comunità. I figli vengono cresciuti dalla comunità per permettere alle mamme di svolgere anche altri compiti, oltre a quello materno. Uomini e donne hanno un modo diverso e complementare di occuparsi della loro spiritualità che prevede momenti di condivisione stabiliti.
La radice "con" (di condividere, comunicare, comunità, comunione, combattere per...) è alla base del loro modo di esistere e di interagire con la terra che abitano.
Una festa dell'8 marzo per trasgredire dai ruoli quotidiani, in quei luoghi non ha motivo di esistere. Non avrebbe senso privare dei rami fioriti gli alberi di mimosa per ricordare alla donna, alla femmina di essere parte indispensabile di questo pianeta.

In molti contesti culturali, invece, la donna non ha raggiunto alcuna parità. Le battaglie sociali servono. La presenza attiva femminile serve, è indispensabile come completamento del maschile. Le ricorrenze no, non servono se non per mettere a posto coscienze addormentate.
Questa ricorrenza, in particolare, fa il gioco della mentalità patriarcale, ancora molto radicata in Italia, come in tanti altri paesi. Patriarcato e sistemi religiosi sono parte di uno stesso "serbatoio energetico" che alimenta l'esaltazione delle differenze, i conflitti, le manie di grandezza, la sopraffazione, la schiavitù mentale, la paura del potere femminile e la paura del potere liberatorio della sessualità.

No, non serve proprio celebrare la Festa della Donna, quando non si è in grado di celebrare la vita in tutte le sue forme, quando non si è in grado di rispettarla e di amarla.
In passato anch'io ho accettato auguri in occasione dell'8 marzo, ho accettato regali insieme al classico ramo di mimosa.
Oggi mi dico con piacere di non riconoscere più quella personalità, quella Maria Rosa. Donna ci sono sempre, in ogni istante della mia vita. Voglio contribuire alla semina di modi alternati di pensare e di essere e, come tantissime altre donne, non attendo certo l'8 marzo per manifestare la mia presenza con corpo, mente e spirito.

Buon 5 marzo a tutti!